pagliaccio1Rilancio volentieri questa riflessione che mi pare tocchi punti importanti rispetto alle tendenze che da tempo un certo anarchismo pare abbia preso; che si tratti della perdita di radicalità legata all’autorappresentazione o di “offerta” rivoluzionaria rivolta ai popolani.

Visto che pare proprio che si debba accettare senza fiatare la “new wave” dell’anarchismo “di sintesi”, contaminato con parole d’ordine autoritare, cittadiniste, pacifiste o quant’altro, con ogni parola soppesata in chiave di ricerca del consenso, pena -in caso di dissenso- processi sommari, minacce e quant’altro da parte di questi novelli capipopolo in potenza, leggere un testo come questo, certo non l’unico uscito in questi mesi dalle sbarre dei supercarceri e che come gli altri verrà passato sotto silenzio in certi ambienti, che con chiarezza e semplicità mette in luce le nudità del re beh, fa piacere.

M.

Fonte: lettera arrivata alla casella di posta di CNA

Ferrara 24/01/16

E guardo il mondo da un oblò…mi annoio un po’…

Riflessioni e illazioni (verosimili…) sul corteo del 5 dicembre 2015 di Venezia.

Sono più di tre anni che guardo a quanto accade nel bel paese con un certo distacco… non certo per scelta, ma a causa di infami mura che rendono ovattata e, a volte, distorta la percezione di quello che succede fuori. Quella che non è cambiata è la felicità che provo quando ho notizia di un qualche atto di rivolta, è la stessa di sempre che scalda il cuore quando si vede la vita irrompere nella realtà e sconvolgere la rassegnazione che, troppo spesso, caratterizza il quotidiano. Detto questo, immaginatevi il sussulto, quando il 5 dicembre, guardando il telegiornale regionale (anche se il resort che mi ospita si trova in Emilia Romagna vediamo quello del veneto…) sento la giornalista, con voce di circostanza, dire: “assalto degli anarchici insurrezionalisti al centro di Venezia, numerosi danneggiamenti…”. Che gioia vedere bancomat “anneriti”, scritte “infuocate” sui muri e bottegai “sconvolti” dalla violenza degli anarchici… Allo stesso modo provate ad immaginare la delusione e la frustrazione, il giorno dopo, sempre guardando il telegiornale, quando mi sono reso conto che i bancomat non erano anneriti dalle fiamme, ma dalla vernice, le vetrine intonse e i pericolosi anarchici altro non erano che “vandali che avevano sporcato la città e disturbato un tranquillo sabato pomeriggio con le loro intemperanze”. Naturalmente, vi sto raccontando le mie impressioni su quella giornata “vissuta” attraverso le lenti distorte della televisione e di pregiudizi/desideri che animano la mia visione della lotta anarchica, ma credo che da ciò possa essere di qualche utilità provare a trarre, comunque, alcune considerazioni di carattere più generale.

Ho provato felicità vedendo le vetrine “sfregiate”, perché mi ero autoconvinto che si trattasse del tentativo di sperimentare un modo diverso dal solito di intendere il cosiddetto “intervento nel sociale”. Qualcosa che andasse al di là del triste presidio o dell’ancora più noioso e scontato corteo “determinato e comunicativo”, un’iniziativa di soli anarchici lontana da scadenze imposte da altri e manifestazioni di massa. Evidentemente mi sbagliavo, chi l’ha organizzata voleva semplicemente disobbedire all’odiosa imposizione del foglio di via e “il corteo iniziato con bella determinazione è riuscito, ha urlato, ha scritto, dipinto il senso della giornata, contro carcere, sfruttamento, guerra…”. Questa vicenda vista dal di “fuori” ha suscitato in me una sgradevole e preoccupante impressione. In quel corteo ho visto una sorta di virtualizzazione della lotta, il mimare la propria rabbia e rifiuto dell’esistente, proprio nel limitarsi a “dipingerlo”. Probabilmente, questa interpretazione nasce da una mia fallace prima impressione, indotta anche dall’enfasi del pennivendolo di turno, ma resta il fatto che mostrare la faccia truce mentre si compie un atto di disobbedienza civile non e cambia il senso profondo. Ed è fuor di dubbio che violare un foglio di via, pur scrivendo decine di volte “fuoco alle carceri” (senza infrangere quelle vetrine…) è null’altro che un atto di civile disobbedienza. Veramente troppo poca cosa per chi dice di rifiutare l’esistente e lottare concretamente contro il carcere e la società che ne ha necessità. Certo, “Per oltre 2 ore in centinaia, provenienti da diverse città abbiamo camminato dentro vicoli, piazzette, ponti dentro una città percorsa da passanti, pedoni senza auto, bici, dunque attenti, più che altrove a quel che accade intorno.”, ma dov’era il nostro odio, il nostro desiderio di farla finita con quanto ci opprime? Rimandato alla prossima migliore occasione, adesso non è ancora il momento, dobbiamo prima coinvolgere gli altri sfruttati, è importante comunicare le nostre ragioni, bla, bla, bla. Ma veramente possiamo accontentarci che di “Dove stare lo decidiamo noi.”? Al di la di questo particolare episodio non sarebbe meglio cercare di smettere di rappresentare lo spettacolo della rivolta e iniziare a viverla qui ed ora. L’unica cosa di cui dovremmo avere realmente paura è di non aver tentato tutte le possibili occasioni per insorgere. Temo proprio che questo corteo (così come altre simili iniziative…) non possa essere considerato: “Una giornata istruttiva che contribuisce a portare il movimento fuori dalle beghe che da tempo ne limitano la consistenza”. Forse se vogliamo realmente disincagliare il movimento anarchico dalle acque basse dove, talvolta, pare arenarsi, dobbiamo semplicemente deciderci a mettere in gioco la nostra vita e fare ricorso alla più scontata arma a nostra disposizione: “Si tratta dell’azione diretta che significa il rifiuto di tutti i riformismi nei mezzi stessi […] Gli anarchici devono appropriarsi di tutti i crimini più o meno coscienti contro la proprietà e l’autorità. Essi devono solidarizzare con ogni violenza che conosca il suo oggetto, con tutti quelli che trattano il nemico da nemico. […] La coscienza deve uscire di prigione, armandosi delle passioni malvagie. La libertà è il crimine che contiene tutti i crimini: è la nostra arma assoluta. Gruppo libertario di Menilmontant maggio 1967”.

Un galeotto dalle segrete estensi.

P.s.: i virgolettai presenti nel testo sono tratti dal resoconto del corteo a Venezia del 5 dicembre 2015 “contro i fogli di via in solidarietà con tutti i detenuti in lotta” pubblicato sull’opuscolo n.108 di Olga.

P.p.s.: un ultima notazione in merito ad una frase letta nell’opuscolo “Santa Maria Maggiore – un carcere una lotta”: “il carcere riguarda tutti, ipocrita chi lo nega. Chi ruba per sopravvivere, chi occupa una casa, chi finisce in una rissa, chi commette un falso in bilancio rischia di finire in galera”. Se si tratta di uno scherzo facciamoci pure una risata, ma se si tratta del tentativo di allargare la nostra “presa” nel sociale, allora, non ci resta che piangere… Va bene mandare in soffitta i ferri vecchi del classismo, ma non esageriamo! Il falso in bilancio è un reato che può commettere solo un imprenditore, un padrone (non ha nulla a che fare col non emettere uno scontrino…), meglio tornare con i piedi per terra e i nostri complice cerchiamoli tra chi condivide il nostro stesso desiderio di libertà e non negli studi dei commercialisti…