Tu ti lamenti: ma sei tu che vuoi la conservazione del sistema in cui vegeti. Di tanto in tanto ti ribelli, ma per ricominciare ogni volta da capo. Sei tu che produci tutto, che ari e semini, che martelli e tessi, che impasti e trasformi, che costruisci e fabbrichi, che alimenti e fecondi!

Perché dunque non mangi a sazietà? Perché sei tu lo straccione, l’affamato, il vagabondo? Sì: perché sei tu a non avere pane, scarpe e dimora? Perché non sei il padrone di te stesso? Perché ti pieghi, obbedisci e servi? Perché sei tu l’inferiore, l’umiliato, l’offeso, il servo, lo schiavo?
Tu produci tutto e non possiedi niente? Tutto viene da te e tu non sei nulla.
Ma io mi sbaglio. Tu sei l’elettore, il votard (termine intraducibile, appartenente al lessico anarchico del primo Novecento. E’ composto dal sostantivo ‘vote’ (voto) più il suffisso -ard, che ha una connotazione peggiorativa e spregiativa), colui che accetta ciò che è; colui che, per mezzo della scheda elettorale, sanziona tutte le proprie miserie; colui che, votando, consacra tutte le sue servitù.
Tu sei il servo volenteroso, il domestico servizievole, il lacchè, il tirapiedi, il cane che lecca il bastone che lo colpisce, e striscia di fonte alla mano del padrone. Tu sei sbirro, carceriere e spia. Tu sei il buon soldato, il portiere modello, l’inquilino accondiscendente. Sei l’impiegato fedele, il servo devoto, il contadino morigerato, l’autore rassegnato della tua medesima schiavitù.
Sei tu stesso il tuo boia. Di che ti lamenti?
Tu sei un pericolo per noi uomini liberi, per noi anarchici. Sei un pericolo tanto quanto i tiranni, tanto quanto i padroni che tu stesso ti scegli, a cui dai un nome, che sostieni e nutri, che proteggi con le tue baionette, che difendi con la tua forza di bruto, che esalti con la tua ignoranza, che legalizzi con le tue schede elettorali, e che ci imponi con la tua imbecillità.
E allora avanti, va’ a votare! Abbi fiducia nei tuoi mandatari, credi nei tuoi eletti.
Ma smettila di lamentarti. Il giogo che subisci, te lo sei imposto da solo. 
I crimini di cui soffri, sei tu che li commetti. Tu sei il padrone, tu il criminale e – ironia della sorte – tu sei lo schiavo, e sei la vittima.
Ma noi, stanchi dell’oppressione dei padroni che tu stesso ci imponi, stanchi di sopportare la loro arroganza, stanchi di sopportare la tua passività, noi siamo qui a chiamarti alla riflessione, e all’azione.
Avanti, datti da fare. Abbandona gli stretti legacci delle Leggi, ripulisci con rudezza il tuo corpo, per sterminare i parassiti e la canaglia che ti divorano.
Solo allora potrai vivere pienamente.”
Manifesto antielettorale, 1 marzo 1906
Pubblicato da l’Anarchie n. 47, a firma di Albert Libertad