Giusto qualche giorno fa l’eroe del popolo Conte, parlando dell’incipiente tornata di consumo natalizia ha ribadito quel che da tempo si sente vomitato da più parti riguardo alla responsabilità che il popolino dovrà dimostrare durante le festività legate al genetliaco di tal Yeshua Al Nozri -Gesù per gli amici- limitando assembramenti e bagordi di vario genere che prevedano la presenza di più di 6 individui, cose già sentite, ma il nostro ha postillato che la limitazione dovrà riguardare anche baci ed abbracci che anzi andranno accuratamente evitati e tutto questo pare sia sembrato normale ai più, senza che nessuno riflettesse come il tono perentorio del “comando” rappresenti l’ennesimo passo della capillarità del controllo che -sempre più interiorizzato- diviene anche controllo non solamente accettato ma anche auto-imposto; il concetto di “controllore di sé stesso” è uno di quelli più ripetuti in questo periodo dall’ambito del dominio, sia esso politico, medico, capitalista…ebbene francamente mi interessa poco la reale incidenza del virus, come poco mi importa disquisire su come e dove si sia sviluppato, se sia o non sia così mortale, ecc…lascio queste discussioni alle partigianerie d’ogni fazione.

  Nemmeno voglio ribadire, lo hanno fatto in molti -ed alcuni anche in maniera accurata- di come si tenti di scaricare sulle persone, additando i comportamenti individuali, la diffusione di una pandemia (o quello che è) che ha le sue cause di sviluppo e circolazione nell’apparato produttivo capitalista.

  Non voglio nemmeno cantare i pericoli, reali, della nuova stretta securitaria farcita di delazione vecchio stile e di controllo tecnologico sempre più pervasivo. Nulla di tutto ciò.

  Quello che voglio fare è dare il mio contributo da un punto di vista Nichilista che forse -inevitabilmente?- scivolerà fuori tema.

 “Niente baci né abbracci”, è questo il mondo che volete, che spesso difendete o che assolvete? A questo volete rassegnarvi, a vivacchiare all’ombra delle vostre paure? In uno stato d’eccezione che promette di essere sempre più la vera normalità che ci/vi aspetta, davvero credete che sia auspicabile esistere a tal guisa? In questo caso sono d’accordo con Jonas sostenendo che la nuda vita è un concetto monco ed insufficiente, la vita acquista valore se degna di essere vissuta(1), se rispondente alle aspirazioni ed ai sogni di chi la vive, garantire l’esistenza non è “vivere”, ricordatelo, personalmente preferisco scommettere contro il virus e vivermi piuttosto che rintanarmi “in attesa di tempi migliori” -come se questi fossero mai esistiti- l’ho sempre fatto a fronte di tutto, non cesserò certo ora.

  Lavorare –sieg harbeiten!– e ritirarsi nelle vostre tane vi sembra vita? La lontananza perpetua dai vostri affini, con i quali interagire solo virtualmente o -nel migliore dei casi a distanza di sicurezza- vi sembra un’esistenza degna di essere spesa?

  Mi rendo conto che molti sino ad oggi abbiano demandato alle calende greche il tempo della gioia spostando questa sorta di eden sempre un po più in là nel futuro e riservando all’oggi –e l’autoinganno è che questo futuro scapperà sempre più avanti senza arrivare mai– la privazione, la frustrazione, la disperazione di un quotidiano fatto di lavoro -tanto- e tempo per sé davvero poco e che ora patiscano il terrore della morte -tra le altre cose- perché pensano “di aver ancora tanto da fare” da un lato senza riflettere cosa e quando potrebbero, dovrebbero e vorrebbero farlo vista l’esistenza gregaria e d’oppressione che vivono, dall’altro perché questa possibilità -della morte- li pone davanti alla grande mistificazione della rimozione (tutta funzionale al dominio ed al capitale) della stessa che si sostanzia in un eterno presente che rincorre la carota di un futuro edulcorato e dorato irraggiungibile e queste sono solo due facce di una medaglia particolare, che ne possiede molteplici.

  Qualcuno molto meno prolisso dello scrivente avrebbe forse vergato: “Chi visse sperando…” ma tant’è, ognuno fa come può e vuole.

  L’accettazione Nichilista della finitudine lungi dal porre l’esistenza in una prospettiva d’inutilità passiva deflagra in un’esigenza ed urgenza “d’essere” e di essere quanto più affini possibile al proprio sentire per quanto tempi e forze individuali lo permettano, godersi nell’oggi senza risparmio, ardere in una luce voluttuosa ed abbagliante senza risparmiarsi ribadendo come Wilde che “l’unico modo per liberarsi delle tentazioni, è cedervi…”(2)

  Chi vive a tal guisa, pascolando la morte come compagna presente tanto quanto la vita e che a questa esistenza dona senso ed urgenza proprio in virtù della sua finitudine della quale è limite invalicabile non temerà l’ultimo minuto, tuttalpiù la percepirà come un noioso accidente che gli impedirà di scoprire e perseguire nuove e molteplici passioni, accidente poi non così grave là dove l’esperienza di vita sarà stata ricca nella violenza delle sue passioni ed aspirazioni, siano esse state perseguite in tutto od in parte e qui, sta qui una delle differenze fra chi prova ad essere e chi aspetta che gli venga attribuito il proprio compitino d’esistenza.

  La voluttà Nichilista non è semplice da perseguire imperocché si scontrerà sempre e costantemente con le piccolezze degli asserviti che mal tollereranno la sua luce tanto sono abituati al crepuscolo delle passioni, luce che disvelerà in primis ai loro propri occhi la piccolezza incolore di una vita che sconta la morte a credito, ogni giorno, così come si troverà a combattere una lotta disperata ma ineluttabile ed indelegabile contro ogni tipo di autorità che tenti di mutilare, normandola, la propria esistenza.

  La sconfitta è forse scontata ma non sarà mai definitiva perché ogni istante, minuto strappato ed il succedersi di essi sarà la propria individuale vittoria, per quanto parziale.

  La morte che non fa sconti, che non chiede curriculum o fascicoli di casellario, è lei che dona il vero senso dell’esistenza scrivendo con il suo giungere la storia definitiva d’ogni esistenza, chi non ha rimpianti non può davvero temerla e poi come ricordava qualche tempo fa Epicuro “La morte non è nulla, quando ci siamo ci siamo noi non c’è lei, quando c’è lei noi non ci siamo più…”

  Alla vita! Che nulla vale e quindi tutto vale.

  1 – Il concetto è espresso nel libro di Hans Jonas “Il principio di responsabilità”

  2 – Oscar Wilde. Citazione de “Il ritratto di Dorian Gray”