Verlaine
“Ho lanciato l’ultima felicità al vento per una vista più alta sulle cose.”
H Ibsen
Sin da piccolo mi sono sempre lasciato trasportare da una curiosità profonda, ogni luogo acquisiva dunque, quando quel qualcosa che non riesco a definire scattava, un’aurea misteriosa ed affascinante da scandagliare e comprendere, da navigare; i luoghi che più mi hanno affascinato e più mi affascinano sono sempre stati gli ambienti naturali dove le tracce di più o meno antichi passaggi si affastellano e contaminano creando un flusso continuo, e spesso dimenticato, di una storia sovente obliata da secoli di cultura della rimozione operata dalle varie chiese (mistiche e laiche…) dominanti.
Come si sa -ma spesso si dimentica, o volutamente si oblia- la cultura profonda non è segnata da un percorso lineare ed unidirezionale, ed è altrettanto indubbio l’operato di dissoluzione delle tradizioni “non allineate” da parte del dominio che romanamente ha per millenni assimilato -ridisegnandole- culture, miti e consuetudini estrapolandole dal contesto di provenienza, espungendole di ogni eventuale criticità -sempre riferita al contesto dominante- e sostanzialmente privandole di ogni portato radicalmente rinnovatore o di (r)esistenza.
A venti anni di distanza -tanto per citare un caso recente- anche “i ragazzi di Genova” hanno subito una riverniciata ed oggi sono quasi identificati, contenutisticamente, ai gretini, sagace strumento reazionario; dalla narrazione ovviamente sono stati espunti tutti quegli elementi che ai tempi avrebbero fatto gridare all’indignazione gli epigoni d’oggi, ma appunto operando un avveduto -e schifoso- taglia e cuci aujour’d’oui si parla delle “ragioni inascoltate” del popolo di Genova, tanto simili a quelle dei gretini appunto…peccato che al di là -ad esempio- delle questioni ambientali le vie proposte fossero un pochino differenti rispetto alla richiesta “democratica” dei giovini del venerdì ai gestori del potere, altra cosa dalle lotte di chi invece il potere lo voleva distruggere (non tutti e molti in varie forme), ma i giovinetti con cartelli e vernice viola son folkloristici e poco pericolosi, tutt’altro da dire invece su loschi figuri in nero avvezzi al confezionamento e l’uso di materiali esplodenti…ma non divaghiamo troppo…
Curiosità dicevo. Da sempre, o da quando ricordo, muovermi fra i boschi ha creato in me una sorta di stato d’eccitazione dei sensi acuito ogni qual volta un luogo apparentemente “indifferente” alle questioni dell’animale umano lasciava affiorare appena dalla superficie del tempo un segno di antiche presenze; un sasso posizionato in maniera inconsueta, un tumulo, la traccia di un piccolo muretto hanno sempre scatenato in me una frenesia a tratti incontrollabile, supportata da una curiosità ed una fantasia potenti; chi -forse la cosa meno importante- e perché era passato di li? Cosa lo aveva spinto a lasciare proprio in quel punto una testimonianza di sé? Tutte domande che negli anni si sono fatte sempre più frequenti e -in qualche misura- ingombranti ma anche stimolanti, cibo per l’essere.
Elementi artificiali ed elementi naturali in continuità e non in contrapposizione, non terra strappata al selvaggio ma un fluire armonico lasciando però testimonianza di sé.
Gli altri animali lo fanno? Non possiamo saperlo, soprattutto se ci ostiniamo a leggere le loro esistenze a partire dal punto di vista della nostra specie, se continuiamo a coltivare gerarchia e militarismo culturale; rompere con lo sguardo antropocentrico è la condizione sine qua non per trascendere la cultura del dominio tecno/specista che sta distruggendo, procedendo a lunghe falcate, il pianeta.
Non tutte le storie sono fatte per essere raccontate ma certo lo sono per essere comprese. E comprese da chi si ponga al loro cospetto con l’umiltà del viandante che conosce camminando e lo fa non ignorando e via, via scoprendo i segni che affiorano dalle nebbie di un tempo dimenticato ma tenacemente presente, nascosto in bella luce nella disposizione di un muro, nell’andamento di un crinale, nell’ansa di un fiume ma anche fra le pagine di un libro, nella memoria di un canto.
Odorare la terra che sa di muffa, patire la sferza del freddo, tendere sensi e muscoli nello sforzo del procedere, imparare il limite ed accettarlo, unico modo per trascenderlo, mettere in conto ed accettare il prezzo del proprio voler essere, supremo traguardo -l’insegnamento del selvatico- c’è bisogno d’altro?
Eppure il limite da molti viene visto come un muro da abbattere, così come l’accettazione di sé diviene sopportabile solo se rimodulabile utilizzando qualsiasi mezzo possa avvicinarci quanto più possibile all’ideale di noi che ci siamo prefissati, siano financo offerti dal nostro arcinemico, spesso in spregio ad ogni “Idea” che andiamo propugnando, grande traguardo della contemporaneità, la rimodulazione tecnoscientifica che si trasla in mille declinazioni culturali, ancor prima che tecniche; nessuno è immune a questo tipo di suggestioni e debolezze, tanto meno chi scrive, ma un conto è miseramente cedere consapevolmente, senza velleità d’auto-assoluzione, un conto è giustificare la propria mancanza di forze motivando le proprie scelte ponendole sotto l’egida di un’Idea anzi, dell’ “Idea” e ciò mi pare tanto scorretto -verso di sé, verso chi vi si pone innanzi- quanto triste ma che dire, c’est la vie! Ognuno però, giustamente, sceglie la strada da intraprendere, coerente o meno che importanza ha? Da sempre siamo linea incerta, spezzata, eppure ciò non toglie -anzi!- che si possa e si debba, qualora se ne avesse voglia e volontà, mettere in luce codeste aporie al fine, se non di risolverle, quanto meno di poterne trattare senza il rischio che le vestali* dell’anarchismo insorgano urlanti e chissà che tutto ciò non possa portare gravidi frutti, ma sarà possibile? Ne dubito sempre più fortemente e mi rendo conto come molti, senzientemente o meno, rifiutino e cozzino le armi contro quelle dello scientismo inteso come sentimento religioso/totalizzante/escludente, ma non rifiutino di fatto la pervasività della scienza che alletta le menti e penetra i corpi così come in altri casi si combatta l’autorità formale ma si accetti sostanzialmente quella informale dell’autorevolezza che spesso diviene altrettanto vincolante e violenta, così come altrettanto sovente capiti che la tanto sbandierata Libertà quella scritta con la L maiuscola, diventi invece una libertà tutta politica e piccolo-borghese che sbandierando il labaro della liberazione totale pone però de facto tanti più paletti-assioma di quanti non ne eradichi ed in una sorta di rovesciamento orwelliano del linguaggio che transmuta la Libertà in adesione e la scelta individuale, qualora non afferisca ad una delle categorie in alto grado d’autorevolezza, in cedevolezza borghese, la probità diviene difetto, quale capriola degna dei più navigati cirecensi.
Liberiamoci da quello, pure da quell’altro, anche quello, ci pone in catena! Ma altre catene sono così approntate per chi per sua sensibilità -formalmente dichiarata in tutela ma fattivamente posta al palo da fucilazione- non sente la necessità di liberarsi da alcunché poiché nulla di tutto ciò gli è imposto e per sua libera scelta ne ha fatto sua prassi ed ecco che colui che non si attenta a cedersi in luogo di un qualsiasi decreto militante rischia d’essere additato, nel migliore dei casi, come schiavo inconsapevole ed incolpevole(?) della cultura borghese nel quale è immerso, quando non proprio di reazionarismo ma non mi si fraintenda, tutto -anche qualsiasi accusa- sarebbe legittima, in senso individualista, se nulla fosse posto in termini aprioristici ma quanti neoplatonici in bandiera nera si vedono ad ogni rinvenire del sole?
Per farla finita con la psicanalisi del sentire individuale, che con la scusa di liberarlo dalle pastoie delle sovrastrutture postegli sulla groppa da società e capitale viene ancor più oberato dal dover “Non Essere” in nome di un “essere” tanto fluido da…manifestarsi come un blocco granitico di definizioni che in quanto tali sono in primis dichiaranti ed escludenti, tanto pesanti da sostituire parimenti tonnellaggio a tonnellaggio, e non pare che il groppone ne giovi assai; toccherebbe quindi combattere il dovere con il volere, con il fattivo rischio d’essere consumati dal fuoco, torce solitarie in una notte alquanto fosca, ma a che pro? Avrebbe un qual si voglia senso? Francamente la risposta a cotanto quesito non mi risulta ad oggi intelliggibile, la larva di un sentire rosicchia e rosicchia, sempre più nel profondo, che farfalla batterà l’ale alla frescura del nuovo mattino?
Si è fatto dell’Anarchia (Fiaccola dalla fiamma che danza) -che è (PER ME) tensione individuale verso il proprio orizzonte di liberazione- uno spauracchio tutto politico (asettica e fredda luce di neon) di temi all’ordine del giorno che scalano o salgono d’interesse a seconda della forza dei varii gruppi di pressione che perorano i propri programmi polarizzando le attenzioni del momento, tanto risolute quanto volubili, altro specchio di un tempo che vuole tutto incerto poiché editabile, e che siano disegni di “liberazione” -da cosa, da chi, a che prezzo?- poco importa, lo svilimento di una tensione tanto nobile in una piattaforma redatta da autorevoli -autorevolezza, ovvero autorità viscidamente ipocrita- presidenti di consulta con l’aiuto compiaciuto di segretari, sottosegretari e militanti di partito -l’orizzontalità, l’orizzontalità!- è francamente olezzoso oltre che noioso assai, che fare dunque? Lungi dal voler recitare la parte del lanciatore di coltelli nel carrozzone tutto politico del post-anarchismo meglio continuare per la propria solitaria strada sino a che le forze lo consentiranno, poi ci sarà sempre un giaciglio od un revolver a porre in quiete ogni questione; come Zo d’Axa mi pongo en dehors dalla carovana dei partiti anarchici dai nomi altisonanti, meglio se saturi di turpiloquio -sincero afflato punk irrinunciabilmente dirompente- e sigle chilometriche e sia chiaro ai celebralmente miopi non è polemica, semplicemente mi situo al di fuori di ogni vostro discorso, non mi interessa polemizzare, almeno ad oggi, il che non vuol dire però condannarsi al silenzio, sia chiaro! Che noia che mi fate, molto meglio calpestare la fragrante erba del mattino in mezzo ad un bosco con ancora nelle frogie il nidore acre della fuliggine del fuoco di nottata che turarsi ancora il naso, e quell’alba che s’appresta…
*Vestale: dalla Treccani – “…2. fig. Chi tutela un valore ideale, un principio, con grande intransigenza e rigore, e per lo più in forma ostentata o senza averne titolo…”