Giro, girotondo, casca il mondo…
Così, tutti per mano, nel turbine gioioso dell’amore globale, senza pensarci troppo…
Ebbene l’amore non ha proprio confini e di amore virale deve proprio trattarsi, un’epidemia scoppiata chissà dove e che ha contagiato un buon numero di rivoltosi di ogni colore, impegnati ormai senza borghesi pudori a lanciarsi in vorticosi girotondi, tutti uniti, rossi e rossoneri, in un amplesso frontista che, ai più sensibili, provoca invero qualche imbarazzato rossore; quanto sembrano lontani i giorni dell’anno domini 1921, dove dalle campagne ucraine ai mari ghiacciati intorno a Kronstadt risuonavano i colpi della controrivoluzione autoritaria avvolta nella bandiera rossa e ancora più lontani paiono, benché cronologicamente più prossimi, i caldi giorni della Spagna del ’37 dove il sole della primavera battezzava quello che avrebbe dovuto essere un monito per tutti gli innamorati della libertà “Non si può far fronte con l’autorità, questa prima o poi, quando non servirete più e una volta raggiunti i suoi scopi, vi spazzerà via senza troppi complimenti”
ricordate il 5 maggio 1937(1)?
Eppure gli anni passano, e se si escludono le ricorrenze liturgiche di una storia trasformata molte volte in simbolo (e come tutti i simboli spogliata di ogni sua problematicità e banalizzata) a fianco delle messe in onore degli anarchici che furono il novello anarchismo post ideologico si forma su un humus di retorica con tutto un calendario di ricorrenze e celebrazioni, animato da un vitalismo privo – spesso – di qual si voglia residuo di coerenza, fardello desueto, nell’ottica di un “fare” ad ogni costo oscillante fra l’ossessione autorappresentativa (di singoli o gruppi) e il pericoloso “in mancanza di meglio”(2) che porta ad un dover esserci ad ogni costo e al prezzo di rivedere al ribasso le proprie aspirazioni di rivolta pur di rimanere in bella mostra sul banco della proposta “alternativa” a questo esistente.
E’ sotto gli occhi di tutti, anche di chi non vuol vedere, ma pur volendo tenere forzosamente gli occhi ben chiusi l’odore della decomposizione dell’ethos anarchico, cui tanti partecipano, dovrebbe essere insopportabile, ed invece…Lo spettacolo si dipani!
In un tempo nel quale la rappresentazione assurge a contenuto, nel quale significato e significante si interscambiano, avendo l’uno subito un prosciugamento contenutistico, e l’altro essendo assurto a valore in sé, poiché immagine in un consesso umano dove quest’ultima e soltanto lei è “valore”, anche il rivoltoso anarchico è divenuto schiavo della sua stessa immagine rappresentata/autorappresentata, in questo accettando in tutto e per tutto di giocare con le carte del dominio una partita che comunque andrà sarà vinta da chi si crede di combattere.
Ma quello della rappresentazione non è l’unico meccanismo del dominio introiettato da alcuni rivoltosi, infatti se un tempo l’anarchismo predicava il noto concetto della “coerenza fra mezzi e fini”, anche in questo ponendosi contro la storia, dominata almeno da qualche centinaio di anni dal machiavellico fine da raggiungere ad ogni costo, il cui perseguimento giustificherebbe i mezzi utilizzati per raggiungerlo(3), oggi si assiste ad un ribaltamento di prospettiva nella quale l’accettazione dei mezzi del nemico fa si che il fardello etico sia messo da parte e che si decida senzientemente di utilizzare tutti i mezzi possibili per raggiungere l’obiettivo della crescita quantitativa degli utenti della rivolta, in una logica funzionalista in tutto e per tutto complanare con le tecniche utilizzate dal dominio per mantenere il proprio imperio sul volgo; il fine si sfuma nell’opulenza della possibilità di scegliere su un notevole catalogo il mezzo più utile. Tocca quindi assistere al degradante spettacolo di coloro che un tempo si dicevano contro la storia e contro la politica accettare ed utilizzare i mezzi storicamente utilizzati dalla politica del dominio per creare consenso, accettare alleanze con ogni tipo di interlocutore se funzionale al proprio fine e quindi si vedono prodi e pragmatici rivoluzionari marciare fianco a fianco di stalinisti (salvo dirne peste e corna durante le liturgie di movimento dedicate ai gloriosi marinai di Kronstadt o agli altrettanto gloriosi operai spagnoli o contadini ucraini), “sinceri democratici”, giustizialisti, consiglieri di minoranza, preti e nei casi più vomitevoli e spudorati boia togati; io povero ingenuo probabilmente non capisco troppo bene come si organizza una sollevazione di massa, forse per colpa di una natura avara nei miei confronti che non mi ha dotato della necessaria lungimiranza che a quanto pare non difetta a certi amici degli amici, forse perché non sono interessato ad organizzare niente e nessuno ma sono semplicemente pronto a camminare spalla a spalla con i miei affini nella rivolta che si fa somma di aspirazioni e tensioni individuali piuttosto che affidarmi a supposte “intelligenze collettive”(4) o ritrovarmi alle calcagna torme di “seguaci”.
Un tempo un certo anarchismo che si diceva e si dice tutt’ora insurrezionalista criticava -a ragione- l’anarcosindacalismo colpevole di trasformare l’afflato rivoluzionario e le possibilità di rivolta che potrebbero scaturire in determinati contesti in mera rivendicazione parziale ed inserita a pieno titolo nell’alveo delle offerte di mediazione capitale/lavoro che il dominio utilizza per garantire la propria autopoiesi; oggi però questi stessi partigiani dell’insurrezione si sono gettati anima e core in una sorta di sindacalismo della rivolta inserendosi in ogni lotta parziale organizzando -o pensando di farlo- la rabbia di determinati gruppi sociali, certe volte dei quartieri, nella convinzione di portare acqua al mulino dell’avvenire liberato…eppure i metodi sembrano proprio i medesimi dell’anarcosindacalismo e con quest’ultimo condividono anche i risultati: creare lotte intermedie che spessissimo si risolvono una volta esaurita la vertenza e che poco hanno di rivoluzionario.
La scelta della “bassa conflittualità” costante (e piaciona) teorizzata da alcuni anfitrioni dell’insurrezionalismo che strizzano l’occhio ai comitati invisibili francofoni non dovrebbe ingannare nessuno, la direzione presa è quella di una gestione (volenti o nolenti necessariamente autoritaria) della rivolta insurrezionale (come le recenti peripezie dei “loro amici” d’oltralpe dimostrano…), che poco ha a che fare con una sollevazione portata avanti da individui consapevoli del proprio essere e del proprio “esserci” ma piuttosto con un cambio di vestito dell’autoritarismo.
L’annacquamento contenutistico, il sindacalismo della rivolta, potranno anche avvicinare questi insurrezionalisti pragmatici ad un certo numero di persone, certamente saranno coccolati dai sinceri democratici che li vedranno al massimo come bravi ragazzi solo un po sognatori e agitati da pulsioni giovaniliste, ma allontaneranno le possibilità dell’anarchismo di rompere con le dinamiche ed i meccanismi del dominio e questo perché accettandone l’esistenza per quanto considerata problematica, addirittura -se serve- utilizzandone una parte relativa ai metodi di creazione di consenso, non fanno altro che rafforzarne la presa ferrea e fornirgli strumenti per migliorare le proprie tecniche di controllo e riparare qualche eventuale crepa nel proprio apparato.
Siamo alla schizzofrenia libertaria: dirsi nemici dello stato, dell’autorità e marciarci fianco a fianco; rifiutare la parzialità delle lotte intermedie e gettarsi a capo fitto in queste ultime ribattezzate “conflittualità a bassa intensità”; rifiutare l’omologazione e lavorare per estenderla al massimo, lottare contro il dominio rafforzandolo…l’Anarchismo cacotopico(5) è cucinato a puntino…
M.
1: Per chiarezza non ho assolutamente simpatia per l’impostazione dell’anarchismo berneriano, ma la sua fine assieme a Barbieri dovrebbe essere un monito, ma -diranno alcuni- erano altri tempi ed ogni chiaro di luna ha richiede alleanze anche “inaspettate”…
2: al riguardo rimando alla lettura di un interessante scritto di Georges Henein, contenuto nel libretto “Il prestigio del terrore”, dal titolo: “In mancanza di meglio…” che pubblicherò a giorni anche qui su l’incendiario.
3: Effettivamente Machiavelli non ha mai pronunciato o scritto la famosa frase che erroneamente gli viene affiliata: “il fine giustifica i mezzi”, ma questa è comunque e certamente un ottimo riassunto della sua filosofia politica funzionalista.
4: L’idea di intelligenza collettiva è geniale, quale miglior modo per proporre se non proprio un egualitarismo nella mediocrità, almeno un bottoncino da schiacciare per tutti nell’immenso macchinario della narrazione della rivolta che scongiuri la possibilità che si sviluppino troppi pensieri individuali non allineati alle aspirazioni degli “organizzatori” della libertà?
5: La Cacotopia è un sinonimo della Distopia, una sorta di Utopia negativa dove la tendenza alla creazione di positività si sostanzia in realtà nella creazione del suo opposto.