Da Finimondo:
«Con un mito costruito con parole e diffuso attraverso la stampa e la radio, un pugno di ingegneri di anime ha fatto fare in passato il passo dell’oca alle popolazioni di mezza Europa. Oggi, con un mito costituito soprattutto da immagini e diffuso attraverso la stampa, la radio, la televisione ed internet, battaglioni di ingegneri di anime possono far fare lo struscio del verme all’intera umanità».
(La grande sfida, 2 giugno 2016)
Eccoci qui. Ridotti ad accontentarci di quanto ci viene concesso. A desiderare ciò che ci viene permesso. Ad interessarci di quanto ci viene spiegato. A guardare ciò che ci viene mostrato. Nient’altro, non c’è altro nelle teste e nei cuori. Ne prendiamo atto. Finita l’epoca del Grande Gioco, dell’avventura in cui lanciarsi a capofitto per giocarsi la vita al tutto per tutto, è diventato inutile proporre sfide che non fanno più spalancare gli occhi a nessuno. Ora che la sola preoccupazione assillante è garantirsi la sopravvivenza mediante il niente per niente, non resta che la miserabile scelta di quale ruolo ricoprire nella replica quotidiana di questo susseguirsi di atti insensati — al di là di qualsivoglia interpretazione logica o intuizione poetica — chiamato esistenza, commedia umana che si trascina facendo sempre più ricorso ad espedienti dozzinali e di pessimo gusto pur di destare una qualche attenzione.