(…) Invocando la storia con l’idea di soccombervi, abdicando in nome dell’avvenire, essi sognano, per il bisogno di sperare contro se stessi, di vedersi sviliti, calpestati, “salvati”…un simile sentimento condusse l’antichità a quel suicidio che fu la promessa cristiana.
L’intellettuale stanco riassume le deformità ed i vizi di un mondo alla deriva. Egli non agisce, patisce; se si volge all’Idea di tolleranza, non vi trova l’eccitante di cui ha bisogno. Il terrore, si, glielo procura, così le dottrine delle quali è il risultato. È forse la sua prima vittima? Non se ne lamenterà. La sola a sedurlo è la forza che lo stritola. Voler essere libero significa voler essere se stesso; ma è esasperato di essere se stesso, di camminare nell’incertezza, di vagare attraverso la verità. “mettetemi le catene dell’illusione”, sospira, mentre dice addio alle peregrinazioni della conoscenza. Così, si getterà a capofitto in qualsiasi mitologia che gli assicuri la protezione e la pace del giogo. Poiché rinuncia all’onore di addossarsi le proprie ansie, egli si imbarcherà in imprese dalle quali si aspetta sensazioni che non può attingere da se stesso, di modo che gli eccessi della sua stanchezza consolideranno le tirannie. Chiese, ideologie, polizie: cercatene l’origine nell’orrore che egli nutre verso la propria lucidità piuttosto che nella stupidità delle masse. Quest’aborto si trasforma, in nome di un’utopia da menefreghista, in becchino dell’intelletto, e, persuaso di far cosa utile, prostituisce quell’ “inebetitevi” che fu la tragica esortazione di un genio solitario come Pascal.